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“My dreams are thoughts about you”: il blues secondo Roy Zappia

Sincero, ruvido, profondamente suo. Il singolo che riaffiora dall’EP “Roots” è una dichiarazione di indipendenza artistica. Nessun trucco, solo voce e chitarra. Roy Zappia torna a parlare di sogni, fame e identità con uno stile che attraversa il tempo e sfida le regole del mercato.

 

Cos’è cambiato nel Roy Zappia di oggi rispetto all’artista che pubblicava l’EP ‘Roots’ nel 2020?

Devo essere onesto, sono cambiate molte cose. Siamo sempre in continua evoluzione, anche in virtù degli eventi e delle situazioni circostanti che ci influenzano. Non sono come quello del 2020, la percezione di alcune dinamiche pu  certamente differire rispetto a prima, ma l’aspetto sicuramente fondamentale è la sincerità, la coerenza.

Hai detto che non fai musica per moda o strategia. Cosa diresti a chi invece si muove solo per visibilità?

Ognuno vede nel proprio percorso un’intenzione, una meta. Non mi sento di giudicare chi predilige la visibilità, anche se non condivido questo modo di fare, ma va bene comunque. In fin dei conti, ognuno ha la sua storia da raccontare, vuol farla ascoltare e in virtù di essa farsi vedere, notare e riconoscere. Semplicemente il mio approccio alla musica è diverso, la vivo in maniera viscerale, e soprattutto preferisco suonare quello che mi piace e quello che mi trasmette la vibrazione vitale.

La scelta di riproporre un brano già esistente è stata più artistica o personale?

Penso sia stato per entrambi i motivi. Il tutto è stato pubblicato durante la pandemia, dunque a livello promozionale, per ovvie ragioni, non ha avuto il giusto risalto. Ho avvertito l’esigenza di darle il dovuto rispetto, il dovuto respiro, scevro da qualsivoglia strategie di marketing o di moda.

C’è un pubblico ideale che immagini quando componi oppure scrivi solo per te stesso?

Immagino sempre che un brano scritto venga ascoltato da un audience fomentata e partecipe. Poi dipende dalla tipologia del brano: a volte sogno i grandi festival, a volte i piccoli club, altre volte le scampagnate con gli amici, altre volte ancora i teatri. Diciamo che è sempre l’intenzionalità e l’attitudine di un brano a sancire il paesaggio circostante. Di certo parto da quello che ho dentro, per poi buttarlo fuori e renderlo fruibile agli altri. Chissà che qualcuno che ascolta non si riveda in quanto scritto. Sarebbe una cosa bellissima.

La tua musica è molto visiva. Ti ispiri a immagini precise mentre scrivi?

E’ una cosa bella che dici, grazie. In effetti sì. Trovo che la sinestesia sia un tratto peculiare della musica. A volte sono scene, altre volte immagini, opere d’arte, suoni, notizie, eventi, altre volte ancora pensieri, paranoie, desideri, ed anche suoni che talvolta rievocano colori. Sono molto varie le trasposizioni sensoriali. Per  sì, tendo sempre ad immaginare un qualcosa durante la fase compositiva.

Qual è il sogno più grande che ancora insegui, dentro o fuori dalla musica?

Bella domanda. Si insegue sempre un qualcosa al punto che, a volte, si perde di vista la strada. Il sogno più grande penso sia quello di fare il massimo nel miglior modo possibile, il che non significa necessariamente fama o gloria, significa pace dell’anima. Di certo il sogno è quello di dare sempre il massimo possibile con rispetto, dedizione e passione, sia nella musica che in altri ambiti della mia esistenza.

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