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Ettore Filippi: il suono, l’immagine, la sera

Un esordio per Ettore Filippi, un musicista di lunga carriera che abbandona tante derive per concentrarsi oggi in un progetto solista che vede il suo primo raccolto pubblico in questo disco davvero interessante. Si intitola “Verso sera” ed è un concentrato di misticismo visionario, tra psichedelia e post-rock, tra forme poetiche lontane dai cliché che conosciamo e quel gusto jazz per alcune metriche e ricami operosi. Un disco di visioni e di liriche che inevitabilmente cullano messaggi introspettivi, a tratti quotidiani, nelle ricchezze private del non detto si fanno popolari… un disco che accoglie il suono come espressione primigenia e la parola come estrema conseguenza del senso. Non è un disco in cui ricercare il significato banale del bello ne aspettarsi sviluppo da cassetta o soluzioni scontate. “Verso sera” è un disco che è divenire. Sono questi gli ascolti che ci piacciono oramai…

“Verso sera”. Visionario nei suoni e nelle liriche, visionario nella distesa infinita di dettagli. Quante chiavi di lettura possibili. La mia? Un volo a planare, come fa la sera, verso se stessi… quando si ha bisogno di ricollocarsi in questa vita che corre… la tua?
La mia..come puoi capire chiavi di lettura ne avrei diverse: narrative, squisitamente musicali o strettamente personali, quasi biografiche. Però potrei raccogliere la tua sollecitazione e suggerire, come ho già avuto modo di dire, questa: l’album rappresenta il luogo spazio-temporale della riflessione su ciò che siamo diventati, su ciò che potremmo essere, su quanto abbiamo fatto o possiamo ancora fare. Non si tratta di uno sguardo critico sul passato, ma l’osservarsi “qui ed ora” nella prospettiva del sentirsi ancora “dentro la propria storia”.

Un disco molto dinamico. Ecco: che significato ha per te la dinamica come concetto anche di vita e non solo di musica…?
E dire che con le “opportune” correzioni apportate in sede di mastering, sono stati smussati scarti che mostravano maggiore dinamicità nello sviluppo dei pezzi all’interno…comunque, scherzi a parte, disquisire sulla vita in termini di dinamica appare un po’ pleonastico, giacché la vita è per sua natura dinamica. Ciononostante posso dirti che la regolarità del quotidiano mi è mancata per tanti motivi, per cui mi sono trovato ad attraversare momenti di particolare, quasi ingestibile intensità, alternati ad altri caratterizzati da grande, quasi estenuante, immobilità. E forse tutto questo migra anche nella mia musica…

E del tempo che mi dici? Quanto tempo sa prendersi questo disco… c’è tanto respiro…
Posso dirti questo: l’elemento tempo, come la dinamica, sono nel mio personale modo di vedere e pensare la musica, parametri più importanti del parametro altezza o armonia, che dir si voglia. Probabilmente ciò deriva dalla mia esperienza didattica volta allo studio della musica contemporanea, e nello sviluppo della narrazione musicale le tensioni, prima che armonicamente, sono gestite da rapporti come pieno-vuoto, veloce-lento, forte-piano.

Un lavoro così visionario inevitabilmente mi porta a pensare alle immagini che potrebbero vivere tra le righe di queste composizioni. Partiamo dalla copertina… un paesaggio in bilico tra sensazioni post-atomiche e schizzi di romantica matita…
La copertina è opera di un poliedrico artista della mia città, Marco Ricci – Douglas Fir – che oltre ad essere un bravissimo grafico è un eccellente musicista, produttore e cineasta. Ha ascoltato l’album e il giorno seguente mi ha proposto 3-4 cover, tutte bellissime…è stata dura scegliere la migliore.

Parlando di altre visioni? Nel disco ci sono altre immagini? E a pensarci su, che tipo di immagini ti verrebbero in mente? Fotografie o dipinti?
Ti dirò che a me non riesce facile né spontaneo apporre sinergicamente musica e immagine, anche se c’è chi vede la mia musica naturalmente accompagnata da immagini. Anzi, personalmente lo vedo quasi come una nota di demerito, quasi una incompletezza narrativa del mio fare musica…tant’è.

A chiudere: questo disco si chiude forse con il brano che più di altri lo vedo darne senso. Parlo di “Crepuscolo”. Su questo brano mancano le parole… non sono servite? E perché questa lunga coda di silenzio finale? E il rimando al silenzio di Cage è inevitabile…
Non vorrei scomodare Cage, che stimo moltissimo… ma raccolgo ancora la tua sollecitazione. Diciamo che se per Cage il silenzio rappresenta lo spazio che l’artista crea affinché il mondo magicamente vi risuoni, anche qui, il silenzio si declina sia come incapacità di esprimere l’ineffabile con le parole, ma anche come la creazione di quello spazio, di quel luogo dove l’eco delle emozioni possa alla fine di questo viaggio sonoro sedimentare piano piano e forse germogliare.