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iBerlino: oltre i titoli e le apparenze

Quando si dice l’avanguardia. Da Sfera Cubica ci arriva un disco che mi rimanda molto ad una loro precedente proposta: e parliamo di Nevica Noise e di quel certo modo digitale di creare strutture ricorsive sulle quali appoggiare con delicatezza una forma melodica. Il gioco sembra ripetersi ma con personalità diverse e con estremità diverse. Il linguaggio degli iBerlino è assai meno concreto, visionario, oserei dire – passatemi il termine – “ipertestuale” e in questo disco dal titolo emblematico “Hai mai mangiato un uomo?” ritroviamo il bisogno di esistere e di manifestarsi privi di ragionamenti strutturali della forma. Un disco difficile. Ma sicuramente un disco da ascoltare con molta attenzione per portarsi a casa belle sensazioni di urbanità e periferie. Sound’s good…

Visionari in tutto e per tutto. Quanto Berlino sia essenziale per un certo tipo di condizionamento? E qui il rimando alla trilogia berlinese di Bowie mi è quasi automatico…
Berlino è essenziale come lo è un’icona, come lo è una fonte di immaginario, come lo è il poster di una rovinata e vissuta rockstar appeso in cameretta, come lo è una capitale storica generazionale, come lo sono i film di Wim Wenders. E come lo è qualcosa ancora da scoprire: quando abbiamo scelto il nome, all’epoca, nessuno dei due era già stato a Berlino. Stavamo vedendo un film di Wenders, “Così lontano così vicino”, girato a differenza de “Il cielo sopra Berlino” dopo la caduta del muro. La immaginavamo. Eravamo un po’ Cassiel, il protagonista che “smette di sentire” il cuore degli uomini quando diventa un uomo egli stesso: gli effetti di una città su un innocente. C’era un richiamo inoltre: la sentivamo nella nostra storia; la storia è lo shock dell’umanità allo stesso modo in cui l’amore è un trauma, noi siamo cresciuti shockati, te ne rendi conto con il tempo. Ricordo ancora quando una maestra alla scuola elementare mi mostrò delle schegge del muro di Berlino appena abbattuto: ma come, nei nostri libri di scuola il muro è ancora intatto e ora questa maestra mi sta facendo vedere che l’umanità è andata oltre, ora mi stanno dicendo che stanno scrivendo un capitolo nuovo di questi libri che dobbiamo studiare, lo stanno componendo davanti a noi? Ora mi stanno dicendo che la Storia che studio siamo noi, mi stanno dando questo fardello? Pensai qualcosa del genere da bimbo. Sono sempre stato molto irrequieto. Berlino è uno shock.
Quando per la prima volta ascoltammo i tre dischi della triologia di Bowie, Low su tutti, ci siamo sentiti a nostro agio, soprattutto nella seconda parte. Una band che si era chiamata “iBerlino”, ormai molti anni fa, e che non aveva ancora sentito la trilogia di Bowie, pensa a quante zone ti può portare il solo nome di quella città.

E parlando sempre di ispirazioni, il mondo inglese più di quello americano, quanto vi ha dato direttamente o indirettamente?
Molto. Non siamo dei tipi molto da “zona Seattle” seppure, per restare in territori americano, ogni tanto un giretto mentale a Nashville lo facciamo. Io vengo addirittura dal pop rock inglese come ascolti con cui sono cresciuto. La prima cassetta che comprai fu The One di Elton John. Ricordo ancora la copertina disegnata da Gianni Versace. Che tripudio di eroi, non so se tornerà mai un’epoca così. A dirti la verità Fab invece non credo sia fan di nessuno, è un musicista che ascolta con gli occhi chiusi, non vede idoli, non si fa influenzare, non ha eroi, talvolta non ricorda neanche i nomi di chi ha ascoltato. Ma non pensiate che lo faccia in maniera arrogante: lo fa in maniera totalmente innocente. Non ha idoli da chitarrista, tipo Hendrix, Gilmour o Clapton ma non perché non gli piacciano, anzi. E’ che semplicemente è sequestrato dalle melodie più che dagli autori. Non ho mai incontrato un musicista così, in genere gli altri mi fanno una testa così con i loro idoli, con “dovremmo suonare come tizio o caio” sfiorando l’emulazione. Invece lui no. Suona. E non sappiamo mai cosa sta per succedere, non c’è nessun Clapton che ci fa l’occhiolino da nessun poster attaccato in camera.

L’eccessiva psichedelia e quella sfacciata responsabilità visionaria che date alle cose: non pensiate sia uno staccarvi dalle concrete risorse del pubblico di tutti i giorni? Insomma siete coscienti che a pochi avranno una chiave di lettura corretta per penetrare nel vostro linguaggio?
No, non credo. Se questa musica e questi pensieri sono venuti da noi due comunissimi mortali, possono venire a tutti. Non abbiamo nulla di speciale e non ci interessa piacere agli altri o farci accettare. Se non piacciamo a qualcuno,a livello caratteriale, quel qualcuno può andare a farsi fottere, figuriamoci se si tratta di suonare. Non suoneremo per una corte. Non siamo così insicuri. Ecco, diciamo che non arriverà ai ragazzini a meno che non siano già stati con una donna o un uomo sposati o comunque non arriverà a chi cerca una forzata leggerezza. Eccessivamente psichedelico? Eccessivo per cosa? Ascoltate questo disco. C’è qualcuno di “sporco” come voi che ne ha inciso uno.

E come vi fa sentire una sommaria distanza tra il vostro messaggio e quello che arriva poi alla gente?
Non lo so, spero che il messaggio non si senti solo. Io sarò già altrove a farmela con altri messaggi. Spero che la gente si diverti, che utilizzi questo disco come colonna sonora per fare intanto delle belle cosette. Speriamo insomma che sia socialmente utile in atti pratici. Non è fatto per farci applaudire sotto il palco, noi siamo i tipi che suonano dietro la tenda mentre il nostro pubblico fa cose strane in salotto. I protagonisti sono loro.

E chiudendo citando “Un Seme”? Come si incastra questo brano dentro un disco come questo?
Si incastra a livello temporale. Mentre registravamo quella roba scura abbiamo avuto un momento di dolcezza. Poi è passato. Però volevamo farvelo sentire. In fase di missaggio abbiamo pensato che era giusto ridare innocenza e cuore alla città. E così abbiamo lasciato questo brano, abbiamo lasciato che fosse un momento di luce. Deve esserci un momento di luce, altrimenti tutto diverrebbe solo una descrizione.

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