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LUPO: quando al rock subentra l’anima

Era Rock, con tinte post, urban, a volte di cemento sospeso. Ma era anche tanto ballad il rock degli AmpRive. E in generale era Rock il mondo di Chicco Bedogni. Prima. Ora, forse anche figlio di un’anomalia alle corde vocali, ha deciso di spegnere gli amplificatori e di parcheggiare il suo katerpillar. Oggi lascia decantare il silenzio e tra il Giappone e l’Italia sforna un disco con la collaborazione di produzione di Luca Serio Bertolini dei MCR. Perché questo “To the moon” EP che lui canta con il moniker LUPO è qualcosa che fa bene all’anima, che suona piano, che alla Luna guarda come per chiedere scusa di questa Terra ipocrita. Ne parlerò ancora. Intanto lo lascio suonare…

Dal Post-Rock al folk americano di matrice assai antica. Che trasformazione. Ma in fondo è una trasformazione o un tornare alle origini?
In effetti ho sempre ascoltato la musica cantautorale e il folk, sia italiano che straniero. Direi che sapere chi sono Bob Dylan, Donovan, Neil Young, Georges Brassens o Johnny Cash fa parte dell’alfabetizzazione di base. Lavorando a questo disco ho invece scoperto il blues delle origini, i meravigliosi performer amorevolmente descritti da Alan Lomax nella Terra del Blues. Li ho osservati da lontano, senza alcuna velleità imitativa: To The Moon non è e non vuole essere un omaggio al blues o ad un musicista in particolare.

Parli di un mondo privo di compassione, tanto magnifico quanto insensibile. Cosa c’è di magnifico secondo il tuo sguardo?
Questa è davvero una bella domanda che purtroppo non mi pongo più da tanto tempo. Trovo magnificenza in cose forse banali, come il cielo stellato, la perfezione della natura, l’armonia tra giorno e notte o nella musica. È magnifico anche l’uomo nei rarissimi casi in cui riesce a non intaccare tutta questa magnificenza.

Una chitarra acustica e poco altro. Davvero poco altro. Un restituire alla musica la pelle nuda. Se stessi. Perché al contrario oggi si fa tanto abuso di elettronica e finzione secondo te?
Non saprei, forse oggi è eccessivamente semplice accedere a sampler e campioni. Anche il più banale dei software musicali propone enormi biblioteche sonore capaci di miscelarsi automaticamente nel mix. E va da se che un arrangiamento ricco ovviamente aiuta, specialmente chi come me non è un musicista di professione. Nelle produzioni di oggi c’è una profonda omogeneizzazione di suoni ed arrangiamenti: se prendiamo a riferimento gli anni ‘70, epoca in cui se si voleva registrare uno strumento lo si doveva suonare, la varietà ritmica si è impoverita in maniera impressionante. C’è anche un eccesso di efficienza negli apparecchi e nei software di registrazione, al punto che siamo al paradosso di dover “sporcare” in post-produzione le riprese audio per renderle meno asettiche e più “vere”. Personalmente sono legato alla musica analogica, alla performance, alle imperfezioni e alle sbavature di chi fatica sullo strumento. Diciamo che sono uno dei tanti nostalgici della “dimensione artigianale” della musica.
Per la registrazione di questo disco avevo come riferimento un’immagine che non so neanche dirti se ho visto o semplicemente immaginato: R.L Burniside mentre reinterpreta una vecchia “holler song” davanti alla sua baracca sul Mississipi. Voce in presa diretta, un piccolo combo e una chitarra solid body economici. Come sottofondo il vento che muove il granoturco e il vociare festante dei bambini che affollano le povere case del vicinato.
Questa per me è una delle più alte rappresentazioni della musica moderna.

Domanda cattiva: programmare un computer significa suonare secondo te?
Eh eh… direi che “programmare” e “suonare” sono due termini assolutamente distinti però io faccio lo snob su software e postproduzione ma se non avessi avuto al mio fianco qualcuno capace di lavorare su ProTools non sarei mai riuscito a registrare questo disco.

E il post-rock sudato sulla propria pelle, quanto manca a Chicco Bedogni?
Devo dire che mi sto abituando piuttosto bene alle formule del solo e del duo acustico: ti garantiscono controllo sulla performance e un maggiore contatto col pubblico. Però la “pacca” degli AmpRive mi manca eccome…

E tornando alle origini, o comunque al passato… niente vinile per questo disco?
Era un’idea in effetti, abbiamo anche pensato ad un’edizione limitata per il mercato giapponese ma per ora è accantonata. Ne riparleremo senz’altro perché l’idea di stampare su vinile ce l’ho eccome.
Grazie per le belle domande: mi hanno fatto riflettere.