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Le FREQUENZE di TESLA: la vita come i robot

Sulle prime pareva uno dei tanti progetti indie-pop in cui l’elettronica imperante dettava leggi e direzioni. Ed invece dietro una maschera di questa tipologia c’è un bel mondo rock dal retrogusto vintage, quasi anni ’70, con opportune schiarite pop ma con altrettante derive acide di stampo chitarristico. E detta così, diteci: non vien voglia di ascoltarli? Loro sono le Frequenze di Tesla, formazione indie-rock bolognese che pubblica un secondo disco dal titolo emblematico e visionario “Il robot che sembrava me”. Ed è a suo modo, sottile e quasi indiscreto, un “concept” che traspone l’amore e il vivere di un uomo in quello di un robot. Ed è musica che forse, a parer nostro, con il singolo “Le migliori evidenze” totalmente centrato sui cliché della scena indie italiana, si presenta in modo fuorviante rispetto a quello che sarà poi il vero nucleo di tutto. E noi siamo felici di averli ospiti e l’invito è deciso ad andarli a scoprire.

Questo disco mi apre scenari sociali importanti. Primo tra tutti: arriveremo a somigliare ai robot? O saranno i robot che somiglieranno a noi?

Enrico: secondo me ci siamo già arrivati. La monotonia lavorativa, svuotata nella maggior parte dei casi da qualsiasi minimo barlume di individualità ci rende del tutto simile a delle macchine prodotte in serie. Per quanto riguarda la seconda domanda, anche là ci stiamo avvicinando; gli assistenti vocali per smartphone e i programmi di ricerca tramite reti di intelligenza artificiale diventano ogni giorno sempre più “umani” , quindi paradossalmente gli esseri umani cercano di rendere i robot ogni giorno più umani mentre noi diventiamo ogni giorno sempre più simili a dei robot.

Matteo: Probabilmente non sarà facile a dirsi: nessuno di noi vorrebbe rinunciare alla sua umanità… Ma in molti casi la società stessa ci chiede di essere più… “robotici”.

E paradossalmente, la vostra musica torna alle radici analogiche del grande rock mondiale. Epoca lontanissima dai robot… come mai?

Enrico: volevamo creare un contrasto per esprimere al meglio il paradosso della situazione descritta con la mia risposta alla tua domanda precedente. La musica, una delle attività umane per eccellenza, soprattutto nella veste di musica suonata, è perfetta per descrivere lo stato d’animo di un uomo che sta diventando robot ma che ha ancora un lato umano e sente di averlo.

Matteo: Il nostro sound si è definito sulla base delle nostre precedenti esperienze e sui nostri gusti musicali. Naturalmente non è una cosa fatta a tavolino e, in tutto questo, i classici del rock ci piacciono e fanno parte del nostro background: è inevitabile che facciano capolino qua e là, dalle nostre canzoni.

Certo l’elettronica la fa da padrona anche nelle vostre scritture. Però anche li cercate un linguaggio “antico”. Insomma: perché secondo voi è sempre il passato a foraggiare ispirazioni e riferimenti?

Enrico: volevamo enfatizzare questo contrasto attraverso la descrizione di una realtà contemporanea sempre più automatizzata un un linguaggio malinconico, più nella forma che nella sostanza, che riportasse in superficie il lato umano. Il passato determina quello che siamo e dove andremo. Non è assolutamente l’unica fonte d’ispirazione ma ha un peso importante.

Matteo: Quello che cerchiamo di fare quando scriviamo e arrangiamo le nostre canzoni è trovare una via che sia la nostra. Oggi l’elettronica è un elemento importante nella musica pop. Quello che abbiamo cercato di fare per questo album è stato creare atmosfere di musica elettronica senza elettronica. Tutto quello che c’è è suonato e può darsi che sia questo che crei quell’idea di “antico”… In realtà è una soluzione nuova e, al momento, forse siamo gli unici a metterla in pratica.

Quindi, restando sull’argomento: che rapporto avete con l’elettronica?

Enrico: abbiamo un ottimo rapporto direi, ma come ogni mezzo espressivo la cosa più importante è il messaggio che veicola.

Matteo: Se l’elettronica può aiutare a far suonare bene un brano o a sottolineare in modo efficace i concetti espressi nel testo, non ci facciamo problemi a utilizzarla: è come avere un utensile in più nella cassetta degli attrezzi.

Il riscatto della propria umanità: mi è piaciuta molto questa discrezione. Che sia una chimera e un bisogno anche per noi uomini di carne immersi nei social network?

Enrico: abbiamo bisogno di ricordarci che per quanto la tecnologia andrà avanti (e ben venga per carità!) ci sono degli aspetti puramente umani che non potranno mai essere soppiantati. I social network vanno benissimo ma non possiamo pensare di usarli come sostituti di un autentico contatto umano. Abbiamo bisogno di sentirci in contatto con gli altri, il fatto che ci siano persone che praticamente vivono sui social è un indice della necessità che abbiamo di cercare gli altri, tuttavia non possiamo limitarci a farlo tramite uno schermo. I social sono uno strumento a servizio del mondo vero, non sono un mondo alternativo.

Matteo: Purtroppo è un bisogno che oggi si rischia di sentire.

E però… nonostante il riscatto dell’umanità, il video di lancio è totalmente orientato alla vita sui social…

Enrico: non è facile staccarsi dall’illusione che il mondo virtuale sia un mondo vero. Il video è volontariamente contraddittorio, raccontare la storia di una coppia dal punto di vista social fa emergere proprio quanto “le migliori evidenze” possano essere ingannevoli.

Matteo: I personaggi del video de “Le migliori evidenze” vivono la loro storia da fuori e da dentro: mentre stanno insieme si guardano come se fossero altre persone e si realizzano nei riscontri “social”. Ci interessava porre l’accento su questo rischio, quello di “automatizzarsi”, che oggi si corre, a volte anche senza rendersene conto.