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Matteo Terzi: niente più apparenze

Ritorniamo dopo la pausa natalizia con un brano che cade proprio sul cuore di tantissime cose che sono ormai divenute un “dovere” nei momenti comandati dal calendario. E in un periodo in cui il vero significato viene sfacciatamente soffocato dal costume e dal consumismo becero, mandiamo in onda “Between Us”, il singolo che ha portato al successo oltre i confini nazionali il cantautore Matteo Terzi. Reduce da importanti palchi e da un secondo posto ad THE VOICE (in Belgio), scalando classifiche e riscontri di pubblico e di critica, arriva anche in Italia con un bellissimo video firmato da Przemek Filipowicz. Dunque l’effimero dei social, le apparenze sfacciate che ormai misurano la vita e manovrano le verità. Terzi “torna oltre”, riprende la verità e canta una preghiera di pop inglese affinché si restituisca lo spazio dovuto alla verità di questa vita, senza i filtri fotografici delle apparenze. Il vero cancro di oggi…

Lasciami partire da un detto assai comune: Nemo profeta in patria. Cosa ne pensi?
Penso che siamo molto fortunati a vivere in un’epoca storica in cui i confini sono sempre più liquidi (anche se la politica cerca spesso di dirci il contrario) e possiamo raggiungere le capitali europee in poche ore e con pochi euro. Questo ha evidentemente rivoluzionato il nostro approccio al viaggio ma anche la ricerca delle nostre possibilità. Io ad esempio ho cominciato a fare musica suonando in strada e ho avuto la possibilità di girare l’Europa in lungo e in largo, fin quando ho trovato la mia dimensione umana e artistica in Belgio, dove mi sono basato con la mia famiglia più precisamente nella campagna vicino a Liegi.

Lasciami adesso lanciare una domanda spinosa. Un singolo importane che canta contro la finzione che passa dallo schermo dei social e delle televisioni. Eppure la tua musica, l’artista Matteo Terzi nasce oggi proprio grazie alla televisione. Non i pare un controsenso? Come si dipana questa matassa?
Credo ci sia un fraintendimento perché “Between us” nelle mie intenzioni non é una canzone “contro” un certo di tipo di sistemi o un certo tipo di valori, bensi’ é una canzone che registra una certa situazione, una presa di coscienza di una situazione di profondo spaesamento in cui l’essere connessi 24 ore al giorno ci ha relegati. Per questo spesso ci ritroviamo a vivere due realtà differenti, come ci sentiamo percepiti nella rete e come invece ci sentiamo percepiti nella vita reale. Questo dualismo in cui viviamo e con cui conviviamo nel nostro quotidiano mi pare un’importante chiave di lettura della nostra società. Sogno un tempo in cui la tecnologia continuerà a essere utile per semplificarci la vita ma senza essere cosi’ invasiva.

Dunque parliamo dei tanto demonizzati talent. Da chi come te li ha visti dall’interno, magari confrontandosi con lo scenario di un altro paese come il Belgio, che opinione ne hai?
Per quanto mi riguarda i talent sono uno strumento, non li considero né bene né male in assoluto, dipende molto dal modo in cui li si vive e cioè da quanto si riesce a trasformare la partecipazione a essi in un’esperienza positiva e utile per il proprio percorso artistico. La sfida vera é non venirne schiacciati, poiché parliamo comunque di programmi televisivi con budget di produzioni enormi, scritti da autori professionisti nei quali i cantanti che vi partecipano hanno in partenza un ruolo minore. In fin dei conti come per tutti gli strumenti la loro utilità dipende dall’effettiva necessità di chi li utilizza e dal fatto se si é in grado o meno di maneggiarli.

Un bellissimo video, geniale nella sua forma e nel modo che ha di lanciare un messaggio. Come nasce?
Insieme al regista Przamek Filipowicz e allo sceneggiatore Artur Michalik cercavamo una chiave narrativa per marcare quel senso di solitudine che possiamo ritrovarci a vivere non appena ci disconnettiamo dalla rete, ed é cosi’ che é nata l’idea di creare un video su due dimensioni, una virtuale in cui una coppia vive una vita “in vetrina”, e una “analogica”, in cui scopriamo che la realtà é un po’ diversa…

E nell’era dell’apparire, di questa televisione e di questi talent, oggi il disco come oggetto di cultura e di culto, che peso ha secondo te? Ha ancora senso farne e distribuirli oppure ha senso dar voce alle singole canzoni come stai facendo ora?
Purtroppo già da qualche anno la strada che ha preso la discografia, che ci piaccia o no, é quella. Il singolo ha la capacità di relazionarsi perfettamente in questo mondo in cui la nostra soglia dell’attenzione si é necessariamente abbassata vista la quantità di stimoli esterni che riceviamo da quando ci alziamo a quando andiamo a dormire. In questo contesto é chiaro che concept album a me molto cari come “Storia di un impiegato” di De André o “Definitely maybe” degli Oasis farebbero tantissima fatica a uscire, ed é assurdo pensarci, ma é anche vero che ci sono esempi in controtendenza, come ad esempio i Coldplay con il loro ultimo lavoro “Everyday life”.

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