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Valentina Gullace: l’eleganza del jazz d’autore

Sospiri e introspezioni ma anche quella bella sensibilità femminile che diviene bellezza e da cui prendere il senso primo di un disco come opera personale di un’artista in gioco. Valentina Gullace scende in campo anche nei panni di cantautrice “colta” con questo esordio dal titolo “La mia stanza segreta” che vede la prestigiosa collaborazione di Fabrizio Bosso. Ed ecco stese al solo le carte di gioco, chiare e definitive – almeno pare. Una canzone d’autore sulle derive del jazz con guizzi r’n’b che non si fanno raffinati e chiusi al solo pubblico competente ma cerca soluzioni pop per un linguaggio più popolare come nel singolo di lancio “La responsabilità di te”. La Gullace, già ricca di esperienze e di carriera tra Tv, musical e teatro, parla di se in forma canzone, scelte e vita vissuta a celebrare un percorso che mira alla verità delle cose. Ne è uno specchio esplicativo il video clip del singolo estratto per la regia di Giulia Fiume. Una lunga chiacchierata ricca di poesia…

Donna, artista, performer… quanta carne al fuoco nella tua carriera. La prima domanda è inevitabile: cosa ti ha spinto a confrontarti con il mondo della canzone d’autore?
Ho iniziato a scrivere le mie canzoni intorno ai 17 anni e l’ho sempre fatto solo per me stessa, mai pensando di farle ascoltare ad un pubblico e men che meno di fare un disco. Fino ai 21 anni addirittura cantavo di nascosto perché mi imbarazzava troppo e perché mi esponeva in una maniera emotivamente ingestibile per me. Dopo moltissimi anni di danza classica sono approdata al musical, affascinante forma di spettacolo completa e molto difficile. Ho studiato duramente per formarmi come professionista del teatro musicale e dal 2006 ho iniziato a girare i teatri d’Italia con titoli importanti come: Jesus Christ Superstar, Cabaret, High School Musical, Frankenstein Junior, La febbre del sabato sera… Fra una tournée e l’altra ho sempre continuato a scrivere canzoni ma non sentivo il bisogno di renderle pubbliche. Circa 4 anni fa ho deciso di fare un disco perché mi sentivo incompiuta, sentivo che una parte di me non era ancora venuta alla luce, così ho iniziato a lavorare seriamente ad un progetto discografico. Dunque la canzone d’autore non è un ambito per me nuovo: è nuovo il mio modo di viverlo, ovvero sono passata dal cantare le mie canzoni nella cameretta con la mia tastiera all’incisione di un disco!

Un disco di bellissime tinte di jazz… probabilmente questo è il cuore pulsante di quasi ogni brano. Come mai questa direzione? Che rapporto spirituale hai proprio con la musica jazz?
Ascolto jazz dall’età di 13 anni. Mio padre aveva dei vinili bellissimi che facevano parte di una raccolta intitolata “I giganti del jazz”. Ero affascinata soprattutto dal disco di Ella Fitzgerald, adoravo la sua voce così intonata, vellutata, piena di sfumature. Amavo follemente la sua versione di “Sophisticated Lady” di Duke Ellington e mi divertivo a imparare lo scat su brani come “Air mail special”. Poi intorno ai 16 anni ho iniziato a studiare gli standards e ad ascoltare voci come Rachelle Ferrell, che mi ha molto influenzata. Ascoltavo Michel Petrucciani, Pat Metheny, Bill Evans, Coltrane, le grandi orchestre della Swing Era, Chet Baker, Tuck & Patti, Sarah Vaughan, Burt Bacharach attraverso la voce di Dionne Warwick… In realtà vedevo il jazz come qualcosa di troppo grande per me. Mai nella vita avrei pensato che un giorno che mi sarei trovata su un palco a cantare gli standards! Guardavo le meravigliose foto di William Claxton che ritraevano le star del jazz a Birdland e pensavo che sarei rimasta per sempre una spettatrice e basta. Del resto, fino ai miei 21 anni ho tenuto segreta la mia voce e la mia musica. L’idea di cantare in pubblico mi paralizzava ma nonostante questo studiavo canto da autodidatta tutti i giorni della mia vita e mi accompagnavo al pianoforte, che invece studiavo dall’età di 8 anni. Ufficialmente ero solo una ballerina classica e dalla Calabria mi sono trasferita a Roma per frequentare l’Accademia Nazionale di Danza e contemporaneamente l’università.

Ho deciso di prendere lezioni di canto perché volevo combattere la mia paura del pubblico e ho scelto come insegnante proprio una jazzista! Così sono iniziati i primi concerti e le prime jam session… Il primissimo concerto della mia vita fu al mitico Radio Londra Caffè di Roma, dove portai un repertorio di standards jazz e r’n’b in duo con un pianista: fu una cosa molto bizzarra perché quel locale faceva solo rock!
Fra i miei 21 e i 24 anni ho fatto parte di diversi progetti tra cui una band nu metal, i Damage Done. Successivamente i musical mi hanno “rapita” per una buona parte della mia vita e ho ripreso a cantare jazz solo da alcuni anni, affrontando anche il repertorio dello swing italiano degli anni ’30 con le Sorelle Marinetti. Quattro anni fa ho messo su un progetto che si chiama “Una serata a Broadway” in cui canto un repertorio di standard jazz scritti originariamente per i musical di Broadway (Gershwin, Porter, Rogers/Hammerstein…). Nello stesso periodo ho deciso di incidere un disco e quando ho fatto la scelta finale dei brani da includere, ho lavorato per cercare una coerenza stilistica necessaria, visto che si trattava di composizioni scritte in epoche differenti. Ho coinvolto il pianista ed arrangiatore Seby Burgio e lui ha saputo accontentare perfettamente i miei gusti. Avevo in testa album come “Live in New York” di Gretchen Parlato, ma anche le ultime cose di Robert Glasper… il mio obiettivo era creare delle sonorità jazz contaminate con l’R’n’b’ e volevo che tutto fosse molto essenziale ed elegante. Amo il jazz perché mi ha permesso di riscoprire il vero suono della mia voce. Nel jazz non puoi scimmiottare nessuno, devi ascoltare l’armonia, il ritmo… e poi c’è la parte dell’improvvisazione che è un atto creativo meraviglioso, che si nutre di istinto ma è il risultato di grande studio (perché “l’improvvisazione non si improvvisa”!).

Un disco che ripercorre insicurezza, fragilità… ecco l’ho trovato ricco di fragilità personali, di emancipazione come reazione. Non trovi?
I miei testi sono tutti nati da una reale urgenza comunicativa, del resto per me erano pagine di un diario segreto non destinato ad un pubblico. Ho scritto di me, delle mie elucubrazioni, delle mie delusioni e delle tante lezioni che ho imparato nella vita. Forse nel secondo disco racconterò anche la storia di qualcun altro, ma questo primo lavoro discografico contiene 11 brani che ho composto perché non sapevo come altro esprimere quel groviglio di emozioni, per questo non ho nascosto nulla di quello che sentivo.

Teatro, televisione, musical… in che misura tutto questo ha contaminato il disco che ascoltiamo?
In realtà per niente! Il teatro musicale e la tv sono ambiti che amo molto ma che rappresentano la mia professione; la mia musica invece è sempre stata qualcosa di totalmente avulso dal mio lavoro come musical performer. Scrivere musica non è un lavoro per me, l’ho sempre fatto per esorcizzare le mie paure e per riflettere in musica. Quando canto nei musical invece non sono me stessa bensì presto la mia voce ad un personaggio e la modifico per metterla al servizio dello spettacolo. Ho imparato a diventare molto versatile vocalmente e anzi, la versatilità è una condizione fondamentale per lavorare tanto nei musical. La mia musica invece si poggia su altre basi, su tutti gli ascolti che ho fatto fin da piccola (dal jazz al rock) e sulle figure di cantautrici che mi hanno segnata molto, come: Joni Mitchell, Rachelle Ferrell, Tori Amos e persino i primissimi dischi di Mariah Carey.

Prendo spunto dal video di lancio “La responsabilità di te”: canti dell’equilibrio personale e lo celebri in un video che manifesta una delle maggiori forme di insicurezza… il cercare un partner attraverso sovrastrutture alla moda. Le stesse che alla fine prendi anche in giro con personalità… che sia questo equilibrio personale una buona via per guarire dalla crisi sociale che viviamo?
Penso che noi abbiamo una grande responsabilità verso noi stessi e verso gli altri: essere consapevoli di chi siamo e di cosa desideriamo. Sapere quali sono le nostre reali intenzioni, perché come dico nel mio brano, la differenza sta nelle intenzioni che determinano il vero significato delle nostre azioni. La crisi sociale che viviamo e che tocca le relazioni sentimentali, a mio avviso, è il risultato di un momento storico in cui viene esaltata la libertà intesa come zero responsabilità, rapporti usa e getta, esaltazione del narcisismo e dell’edonismo sterile. Tutti siamo troppo impegnati, stressati, pieni di incombenze e corriamo come trottole per tutto il giorno. Abbiamo poco tempo da dedicare agli altri, desideriamo solo non avere altri problemi e vivere con “leggerezza”. Di conseguenza sembra essere sempre meno facile intavolare una relazione con serietà. L’equilibrio personale per me è la consapevolezza di che momento stiamo vivendo, a livello emotivo. Per salvarci dalle delusioni ma anche per non fare del male agli altri.

Ascoltando questo disco penso ho l’immagine di cose piccole, di grandi significati e di verità quasi nascoste. Citandoti in qualche modo, bisogna capir bene chi hai davanti prima di farlo entrare nella tua vita. E per te, credo, la vita è come una casa… come vivi quindi la celebrazione pubblica delle tue piccole cose? In altre parole, non pensi che sia importante difendere le nostre piccole cose dall’indifferenza che viviamo ogni giorno?
Quando penso che le mie parole e la mia musica saranno ascoltate dalla gente mi tremano le gambe. Sì, è come far entrare tanti estranei nel mio mondo, nella mia casa, nella mia stanza segreta. Non a caso ho scelto questo titolo per il disco. La stanza segreta è quel luogo meraviglioso in cui siamo liberi di essere realmente noi stessi, in cui possiamo sperimentare, creare, anche sbagliare in pace. Ora la porta della mia stanza segreta è aperta e ovviamente non potrò piacere a tutti o essere capita da chiunque. Però se almeno una persona si emozionerà ascoltando una mia canzone, sarò felice e orgogliosa.