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JATA: l’assurdo gioco delle fobie

Disco di resistenza in qualche misura, disco di denuncia… oppure disco di speranza. Potremmo davvero etichettarlo in tanti modi, tanti sono i piani di lettura che ci offre. Gaetano Russo, aka JATA, di stanza a Londra non si sottrae certo a questa contaminazione industriale per regalarci un pop rock dei tempi moderni dal titolo “Crazy Game of Phobias” che in rete si fregia anche di un video ufficiale a corona della title track. Un Ep che oggi più che mai accende un focus sulle fobie umane che questo tempo apocalittico ha celebrato e in tanta parte costruito ex-novo. Parliamo di quei dischi che più che all’estetica afferiscono alla lirica sociale, al delicato aspetto della fragilità umana. Il pensiero è assai rivolto alle produzione di Lello Savonardo e alle sue indagini sul vivere quotidiano di questo futuro digitale. E questa storia penso non avrà certo una soluzione finale…

La pandemia. Le fobie. Direi che partire da qui è doveroso. Per te cosa sono le fobie?
Le fobie sono trappole mentali, amplificazione di timori, letture non pienamente consce di determinati aspetti della realtà, che ci portano ad attivare comportamenti fisici ancorché mentali istintivi e non proporzionati alle minacce che percepiamo e che le generano. Per questo mi soffermo sulla fobia del contatto fisico in “crazy game of phobias”, cercando di dare una chiave di lettura all’ascoltatore che possa far riflettere e far crescere la consapevolezza che in generale siamo andati un po’ oltre con la paura di abbracciarci, toccarci, stare a contatto, insomma “sentirci”.

E quanto questa pandemia ha giocato con le fobie, quanto le ha utilizzate per aggravarsi più di quello che già era di suo?
Le persone, le organizzazioni, i media hanno giocato certamente con le fobie derivanti dalla pandemia, e dal mio punto di osservazione ci hanno giocato parecchio, veicolando messaggi e indirizzando “scelte” nel bene e nel male. Credo che le fobie siano state utilizzate come strumenti di persuasione per modificare comportamenti, consuetudini, abitudini etc. e questo indipendentemente dal buon senso e dal buon proposito o meno dietro la necessità di guidare i comportamenti della gente.

Ne ha inventate di altre?
Ti direi che su di me ha sicuramente generato la fobia per i meeting di lavoro on line (decine e decine di videocall ogni giorno ) 🙂

Un suono inglese, posso dirtelo? Siamo nel pop rock liquido, industriale… ma di matrice inglese. Quasi new wave anni ’90… cosa mi dici?
Direi che dentro il sound di questo lavoro ci stanno parecchie influenze e sfumature, di sicuro un’elettronica che rimanda ai 80’s e 90’s, minimal e pop. Al new wave non avevo pensato, ma è bello vedere come ogni persona possa cogliere aspetti diversi e farne una propria lettura anche nei suoni. In realtà nonostante le influenze contaminazioni artistiche siano comunque una solida base del sound di ogni artista, credo che inquadrare esattamente un lavoro musicale in uno o più box etichettati sia impossibile oggi, in uno scenario in cui ormai parlare di “indie” vuol dire tutto e niente.

Italia o resto del mondo dunque?
Per inclinazione personale, sentendomi da sempre cittadino del mondo non ho dubbi… resto del mondo.

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