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Let’s dance to Joy Division…e Ian Curtis

I Joy Division sono una contraddizione,una contraddizione diventata leggenda.

Primo come può un gruppo che in pochi ricordano, diventare la maggior fonte d’ispirazione per gran parte delle migliori band degli ultimi vent’anni?

Secondo se le loro canzoni non sono inni da stadio che parlano di sentimenti universali, ma melodie dall’atmosfera rarefatta unite a liriche cupe che trattano di un dolore, così intimo e personale, da essere solo di chi lo prova, come fanno a rappresentarti così bene come se tutto questo sia stato scritto pensando a te?

Terzo come ha fatto una band talmente discreta e poco auto celebrativa da non mettere neanche i propri nomi all’interno delle copertine dei propri dischi e durata a malapena quattro anni, a diventare un’icona indelebile nel tempo?

Per capire ci vengono incontro i Wombats, un giovane gruppo di Liverpool che in una canzone, Let’s dance to Joy Division, ci spiega il perché.

Perché bisogna danzare con i Joy Division, celebrarne l’ironia, perché tutto va male e noi siamo felici.

Perché l’amore ci dividerà, il disordine regna nei nostri cuori, non ci ricordiamo niente e nessuno, tutti quelli che ci circondano sono degli estranei, il nostro futuro è incerto e la nostra anima è perduta, ma noi siamo felici di avere qualcuno che ha provato le stesse cose, che è stato il tempo di un attimo in questa terra, ma è bastato per lasciare una traccia così forte da rimanere eterna, una persona talmente trasparente da diventare invisibile, un essere umano così sensibile da condividere il suo fardello con quel poco di mondo che lo ascoltava e lo amava per il solo fatto che finalmente non era poi così solo tra tanti sconosciuti, perché c’era qualcuno che lo poteva capire, che provava quello che lui provava, che non si vergognava di esprimere un disagio, anche utilizzando l’ironia.

Quest’uomo si chiamava Ian Curtis e aveva appena 23 anni quando decise di farla finita, impiccandosi usando “The Idiot” di Iggy Pop come colonna sonora dei suoi ultimi istanti e le scene di “La ballata di Stroszek” di Werner Herzog come ultimi ricordi, perché non riusciva più a sopportare la malattia, quell’epilessia che aveva ispirato la sua celebre danza sul palco e le vicende personali, il conflitto interiore tra chi amare di più, se la moglie Debbie, compagna di una vita o la giornalista belga Annik Honorée.

La musica dei Joy Division è stata, è e sempre sarà Ian Curtis, tenebra e limpidezza, oppressione e libertà, dramma e stimolo, in una parola è vita anche quando si parla di morte, senza fronzoli, furbizie o strategie di marketing.

Era così,perché così doveva essere, Ian Curtis era Ian Curtis perché lui era come le sue canzoni, lo rispecchiavano totalmente, ogni parola era un pezzettino di se che donava agli altri, li spingeva a sorpassare i limiti, ad andare oltre ad ogni costo per trovare se stessi o come lui per perdersi, si ma con ironia.