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LEVY: nel mondo di “Light Blue”

Parliamo dei LEVY e di questo nuovo disco “Light Blue”. Una pubblicazione che oltre a vedere il team di LAYELL label, esce dopo l’evoluzione estetica di testi che abbandonano definitivamente la lingua italiana per sposare le liriche inglesi in tutto e per tutto anche mostrando un certo mood elettrico proprio del brit pop che tanto amiamo. Nuovo capitolo di conferma ed evoluzione che fa seguito al precedente “Bonfires” (2016) e al “Poveroccidente” (2013). Tanti live all’attivo e nel 2018 nel Regno Unito con il “Beautiful Monsters Tour”. Quattro chiacchiere importanti con Matteo Pagnoni.

Buongiorno ragazzi, chi sono i Levy e come si è formata la band?
Esistiamo come band dal 2015, anche se abbiamo avuto alcuni cambi di line up in questi anni. I Levy nascono dopo la “conversione” della precedente formazione Levi in qualcosa di più importante sotto ogni aspetto, a partire dalla lingua. Come formazione stabile invece siamo rimasti io (Matteo Pagnoni) e Damiano, affiancati da Gianmarco da circa un anno.

A fine 2018 è arrivato il vostro nuovo album con l’etichetta Layell label. Com’è andata la realizzazione dell’album e chi vi ha supportato in tutto il lavoro?
L’album è davvero nato dopo il tour estivo, qualche canzone l’avevamo già e la proponevamo dal vivo ma il grosso del disco l’abbiamo registrato e composto durante i restanti giorni d’estate. L’atmosfera è stata davvero unica e ci sentivamo molto ispirati, tanto che non abbiamo incontrato grosse difficoltà nella stesura degli arrangiamenti. L’etichetta e Salvatore Imperio ci sono stati molto vicino, quasi quotidianamente, mentre il disco prendeva forma.

Come sta andando “Light Blue”? Da quello che si vede sul web non stanno mancando recensioni che sottolineano un sound fuori dagli standard italiani
Si è vero, abbiamo avuto tante ottime recensioni e tutte quante hanno in comune il riconoscimento di un lavoro riuscito e potenzialmente internazionale. Questo non può che farci assolutamente piacere e spingerci a dare sempre il massimo, in studio e in live.

Del singolo, title-track dell’album, ci sarà il videoclip ufficiale che sarà pubblicato nelle prossime settimane?
A metà febbraio gireremo il nuovo video per “Light blue”, credo quindi che a marzo potrete vedere il risultato finale. È qualcosa di particolare stavolta, non ci siamo noi al centro della scena, perchè la ministoria prevede degli attori che saranno protagonisti del video.

Parliamo dell’evoluzione dei Levy, dai testi in lingua italiana a quella inglese. Come è avvenuta questa evoluzione?
Tutto è nato quando ci siamo accorti che suonavamo sempre più “internazionali” e per molti versi trovare spazi solo in Italia sarebbe stato riduttivo. Poi mi son sempre trovato molto bene con l’inglese, a causa anche dei miei ascolti.Abbiamo successivamente deciso e concretizzato quando abbiamo capito di voler osare un po’ di più anche fuori dai confini nazionali, è così è stato.

Avete trovato differenze, in Italia, sui riscontri che state ricevendo per le vostre canzoni in inglese rispetto a quelle in italiano?
Sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’accoglienza che il disco sta avendo in Italia. L’unica differenza è per quel che riguarda l’aspetto live. Da noi siamo troppo condizionati dalle correnti musicali del momento. Ecco perchè la media durata di un artista o una band indipendente è di circa 4 anni. Ad ogni nuovo soffio di vento si abbandona un genere e molti mollano del tutto, qualcuno più scaltro invece si “ricicla” con un nuovo nome, nuovo look e nuovo genere. È un po’ un supermercato usa e getta, non fa bene ai musicisti, non fa bene al pubblico.

Anche all’estero “Light Blue” è in rotazione radiofonica. Quali sono gli Stati che hanno acceso un faro sulla vostra realtà?
Tanti, davvero, in prima fila Uk, Usa, Germania, Australia, poi anche Canada, Giappone, Spagna, Sud Africa e il resto d’Europa.

Ci sono episodi, all’estero, che riguardano l’album che vorreste sottolineare?
Una recensione del nostro precedente album “Bonfires”, nella quale il recensore di Uber Rock UK ammette di aver saputo che eravamo italiani solo dalla biografia successivamente all’ascolto e che in molti frangenti la band è sembrata molto più “british” di molte formazioni britanniche.

Mentre in Italia, cosa vi ha piacevolmente sorpreso dall’uscita dell’album a Novembre 2018?
Sicuramente le svariate ottime recensioni che stanno continuando ad arrivare e la molta curiosità sul nostro sound, che pare aver conquistato tutti quelli che hanno avuto modo di analizzare il disco. Personalmente poi l’accostamento a band come quella dei Police per una canzone per me è stato un complimento importante.

Nel 2019 su cosa vi siete concentrati?
Sulla musica e i live. Non facciamo molti video, di quelli del tipo mordi e fuggi, troppo promozionalmente passeggeri. È anche vero che nel calderone c’è la realizzazione di un live video di un concerto indoor. Stiamo solo decidendo il periodo in cui realizzarlo.

I Levy e il web. Che rapporto avete e quanto è importante saper utilizzare gli strumenti che “la rete” mette a disposizione?
Troppo importante forse, e siamo presenti costantemente. Quello che però ci contraddistingue è un approccio artistico e meno da marketing selvaggio. Troppo marketing e meno musica finirà per rovinare musicisti e musica. Vogliamo portare al pubblico di più la musica rispetto a noi stessi.

Che musica ascoltano i Levy?
Tanta e quasi tutta. Ultimamente sto rispolverando tanta black music e live acustici, che poco hanno a che fare con quello che proponiamo. Mi ispirano, mi contaminano, non può essere che positivo.

Ci sono artisti, italiani e stranieri, con cui vorreste duettare, collaborare o esibirvi sul loro stesso palco?
Mi piacerebbe collaborare con Tom Yorke e con i Nothing but thieves, artisti che stimo e seguo davvero tanto. In Italia invece trovo piacevolmente tanti giovani artisti con cui mi piacere suonare e cantare, questo paese ha ancora da dare molto al mondo.

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