Un lungo concept sull’analisi sociale di chi siamo e di cosa stiamo diventando. Daniele De Matteis, dopo una lunga genesi di suoni e di collaborazioni, incontra il senso ultimo del suo scrivere e sforna questo primo lavoro personale con lo pseudonimo di Soul Island. Esce “Shards” per la produzione Loyal To Your Dreams. Sono 9 scritture che dal mood punk prendono derive elettroniche di frattali e percorsi ricorsivi di drumming digitali su cui si costruiscono landscapes immaginifici e visionari. Un ascolto lisergico che culla dietro una forma canzone psichedelica la presa di consapevolezza e un guizzo di speranza. Il processo di de-costruzione della morale e del vivere quotidiano, delle tante finte demagogie, del nulla di fatto. Il vuoto concettuale e culturale dei media, il poco che pare abbastanza e quel processo di solitudine che ne deriva. Un disco di deriva che comunica all’ascolto sospensione incerta e domande scomode. Perché pare proprio che il vivere di oggi, in questo bel paese della parola estetica, sia comunque un veleggiare tra nebbie e derive dove l’unica rinascita sia la propria coscienza. Un disco da consumare preferibilmente con intelligenza ed autocritica.
![](https://www.blogmusic.it/wp-content/uploads/2019/01/Soul-Island-Cover.jpg)
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Resto sempre affascinato da progetti così dediti ad una sorta di psichedelica concettuale espressa dietro il suono digitale. Si compongono astrazioni che ognuno è libero di interpretare come crede… a te questo sta bene oppure vorresti he la visione fosse in qualche modo univoca?
Mi fa piacere e mi sta benissimo! Condivido l’estetica per cui le manifestazioni artistiche una volta esposte poi diventano di chi le vive. Sicuramente tutto quello che scrivo è motivato e parte da un’emergenza personale, ma allo stesso tempo chi ascolta è libero di vederci il suo, io per primo sono stato travolto da dischi che ho capito a modo mio, salvo poi scoprire dopo anni l’intenzione degli artisti, a volte con sorprese spiacevoli! Comunque sia l’importante è riuscire a discernere le due visioni così che da ambo le parti non ci siano strane aspettative.
Restando sul tema: il suono digitale, il suono programmato. Cosa significa per te? Non trovi che manchi di quella imperfezione sentimentale che forse è alla base della bellezza umana?
Bella domanda, sicuramente il suono digitale è pericolosissimo. È davvero difficile, quasi irragionevolmente, creare suoni decenti col software. Ed infatti, tutto il mio disco è scritto apposta con sorgenti analogiche! Nel riconoscere i synth digitali, specialmente quelli fatti dai plugin che hanno la grafica iperrealista e scheumorfica, che riproduce mostri sacri dell’analogico, non posso fare a meno di pensare che siano delle simulazioni, quindi non riesco a scrivere perché mi sembrano finti. Almeno così è stato finora per me. Un pò come andare in giro a dire che hai costruito una casa quando è la quinta di un teatro. È triste, a meno che la simulazione non sia esplicitata e faccia parte del contenuto in qualche modo. Ok, è un discorso complesso, quindi chiudo dicendo che non mi piace la disonestà.
Cosa significa “Shards” di preciso? Perché questo titolo?
“Shards” significa “frammenti”, il risultato di una rottura, i parziali di qualcosa, di cui restituiscono l’immagine dopo un processo traumatico. In inglese in particolare la parola identifica frammenti di vetro o altri materiali taglienti, drammatici. Le tracce del disco raccontano momenti e pensieri non facili e di come li ho metabolizzati; c’è poi una vena nostalgica, emotiva, autoriflessiva che per me è raccontata dal fatto che per loro natura questo tipo di frammenti riflettono quello che hanno davanti.
Di tutto il percorso che da Lecce arriva fino a Londra, quale senti sia stato il momento di maggiore contaminazione per questo disco?
Sicuramente Londra, il disco è decisamente metropolitano, le emozioni sono quelle di un Daniele in giro per Shoreditch, a sgomitare fra venues e palchi del Venerdì, lavori da designer in startup iper-ottimiste, fish and chips e code al gate di Stansted. Almeno questo è il mio immaginario al riguardo, ed in questo panorama, l’urgenza di scrivere. Poi ci sono tanti altri posti in mezzo, tipo New York. Un aspetto chiave è però che le idee e le suggestioni di questo disco le ho coltivate per tanti anni, le prime avventure elettroniche le avevo mentre suonavo power pop coi Thousands Millions, a Bologna.
Vorrei chiudere chiedendo: ma se non ci fossero stati i computer, Soul Island esisterebbe? E in che forma secondo te?
Domandone, sicuramente sarebbe esistito. Però, se per computer non intendi solo i “personal computer”, avrebbe assunto una forma un pò diversa, ritmicamente quasi uguale, ma avrei dovuto sostituire tutti i synth con sezioni di archi, fiati, o cori. Sicuramente non me lo sarei potuto permettere!