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ZERO PORTRAIT: i suoni della fauna urbana

Un ep davvero molto interessante che vedrà la luce anche in vinile. E tutto questo nel segno di visioni acide digitali. La firma è quella di Zero Portrait che porta a segno il suo primo lavoro ufficiale dal titolo “Pulp”, che vuol significare “polpa” nel senso di sostanza, di verità, di concretezza. E tutto questo lo si rintraccia nell’urbe di periferia – quella romana nel caso di Zero Portrait – che vuol significare anche contaminazione e resistenza, fuga dall’omologazione ma con un mood lontano dalle insurrezioni… direi che il suono di queste 4 composizioni strumentali (eccezion fatta per “Fauna” di cui il video ufficiale e la collaborazione con Agronomist) è scuro in volto e morbido nelle intenzioni, senza violenza, con un fare contemplativo e cospirativo. C’è quella rabbia che è sinonimo di una bellezza poetica che fa di questo primo progetto una piccola bandiera sociale per Zero Portrait… che in fondo, a guardar bene la sua carriera e le sue tante derive, è sempre stato un leitmotiv importante.

Parliamo di fauna e di popolo. Parliamo di periferia e di bordi. Parliamo di star fuori dal centro. Pensi sia li il vero cuore, la vera “Polpa” della vita?
I confini hanno sempre attratto il mio interesse, confini musicali, confini sociali. Le aree di confine sono quelle dove s’intensificano le contraddizioni e dove emergono i conflitti sociali più significativi per le nostre società e dove ci si può nutrire. Se ripensiamo ai generi musicali più interessanti da cui prendo nutrimento, c’è il Jazz da New Orleans, la House Music sul finire degli anni ‘70 nata in un locale sconosciuto e fuori dai giri main di Chicago fondendo la disco e il disco alle drum machine, oppure l’incontro tra il dub delle comunità caraibiche londinesi e il punk musica a cui s’identificavano molti figli della working class britannica “bianca” che ha dato a fusioni ineccepibili come “Sandinista!” dei Clash. Per non parlare dell’hip hop nato da block party nel Bronx di New York in cui per far ballare il DJ inseriva i cut solo dei break dei dischi funk creando un nuovo modo di ballare la musica. La periferia è il laboratorio, il centro è la vetrina, non c’è l’uno senza l’altro. È necessario conoscere i confini per capire il centro.

Quindi pensi che al centro delle cose ci sia massificazione, quindi una qualche forma di falsità?
Il centro non è falso, esprime la parte più commerciabile di quanto viene realizzato ai confini. La massificazione è un effetto di ciò, si creano dimensioni che concentrano massa per evitare dispendio di energie. Quello che avviene è che il centro non è più diventato un obbiettivo, si è creato uno scollamento, chi sta nei confini non vuole andare in centro ed i centri sono interconnessi tre loro, generando un’incomunicabilità. Se osserviamo il centro di Roma, aldilà delle particolarità architettoniche, è molto simile al centro di Londra o al centro di New York, disabitato, pieno di uffici, banche, appartamenti vacanze, anche i ristoranti, aldilà delle grandi catene, hanno stili e proposte sovrapponibili. E le periferie si riqualificano, quest’ultimo aspetto non è necessariamente negativo, anzi è importante che avvenga. Le conseguenze possono divenire disastrose, quando le condizioni non sono dettate da esigenze sociali, ma dal creare introiti alle grandi corporation, per cui le periferie diventano centro e i paesi periferia. Una corsa allo snaturare, per cui si crea dell’incomunicabilità tra le parti. Io confido che il Local è Gobal per cui bisogna dare spazio a quanto di autentico c’è ai confini per riportarlo al centro.

Chi è Zero Portrait? Perché la maschera e perché questa distanza tra l’uomo e la sua musica?
Troppa esposizione dei singoli, non m’interessa essere qualcuno o creare collegamenti personaggio-musica, preferisco musica-ascoltatori. L’attuale comunicazione della musica non m’interessa, la sfrutto per divulgare le mie intenzioni.

Sequenze strumentali, lunghe arti pittoriche di allegorie… quando pensi o quando senti che dentro le trame sonore ci sia il messaggio che volevi custodire? O ancora: nasce prima il messaggio che insegui con il suono o è il contrario, cioè da un suono che nasce ci ricavi un messaggio?
Nasce il mio interesse verso qualcosa che voglio ritrarre, allora l’approfondisco, m’immergo, provo ad entrare dentro i contesti che attivano la mia curiosità, leggo, provo a capire soprattutto la connessione tra il fenomeno ed il contesto sociale in cui nasce. Questo cambia le mie abitudini di ascolto, per cui vengo attratto da fenomeni acustici e sonori che richiamano l’oggetto di mio interesse, per cui mi ritrovo a riprodurre le mie riflessioni in musica. Il messaggio è nella musica, la musica è il messaggio. Cerco di non separarle mai. Parliamo di brani strumentali, si possono godere anche senza pensarci, ma il messaggio passa sempre, senza esplicitarlo.

Voglio lasciarti con una domanda spigolosa: dalla periferia e dall’urbe nasce “Pulp”. Mi lasci forti sensazioni di pulito, di rabbia, di evasione dalla massa. Ma poi la forma disco, per darle voce, è alla massa che torna, dai giornali come questo ai tanti canali a disposizione. Non pensi sia un gioco a limite? Un controsenso? Qual è la chiave di lettura?
Rispondo con un’altra domanda spigolosa: se non avessi sfruttato i mezzi di comunicazione e di promozione del disco voi (come tutti gli altri) sareste mai venuti a conoscenza di PULP?
Io da un capo all’altro della città mi muovo con la bici o in metropolitana, parlavamo di periferia e centro, di confini e di nucleo, i mezzi come i giornali danno modo di arrivare in centro, una volta arrivato sta a te capire cosa prendere e cosa dare. Insomma se il mondo creativo sta in periferia, la vendita dei prodotti creativi più rilevanti sta in centro, i giornali sono le metropolitane che ti portano dalla periferia al centro, io ci sono salito dentro ed ho pagato il biglietto, poi toccherà alla mia musica capire se verrà accolta dal pubblico.

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