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ALEX CASTELLI: l’esordio solista, tra liberi e caduti…

Un album libero, potrei definire così l’esordio da solista del cantautore bergamasco Alex Castelli che tra un sound influenzato dai suoi ascolti dal sapore rock viene fuori pian piano tra storie, rimpianti, racconti dell’animo umano e reazione all’agire umano.

 Castelli ci sorprende quando si cimenta con arrangiamento pop in cui esalta i caduti liberi del suo album anche accusa qualche sofferenza in ambito lirico… coccola tuttavia una musicalità e soluzioni trasparenti e coerenti che lasciano sperare ad un futuro discograficamente interessante per chi ha saputo raccontare l’omicidio della musica, un omicidio che resta ancora ufficialmente irrisolto.

“Caduti liberi” rappresenta il tuo esordio da solista dopo tanta esperienza nel tuo passato. Quali sono state le esperienze che ti hanno fatto maturare, artisticamente parlando, e che troveremo tra le tue canzoni?
La vita in generale mi offre spunti di riflessione. Dal più banale accadimento al casino peggiore che può rovinarti la giornata, tutto può generare il “fastidio” necessario per farmi buttare giù un testo. A livello umano, più che artistico, tutti i miei testi presentano storie vissute in prima persona che hanno influito nel mio percorso di vita. Tutto quello che scrivo in generale, anche se non viene messo in musica è mio. Negli ultimi anni tante vicissitudini hanno influenzato e se devo essere sincero, un accadimento positivo non è mai fonte di ispirazione… l’arte a mio avviso nasce dal disagio di un momento.

Chi sono i “Caduti liberi” di cui parli nel tuo album?
I “Caduti liberi” sono tutti quelli che hanno spezzato le catene, dopo aver vissuto un periodo in cattività. La pigrizia porta le persone a rimanere in una situazione di comfort, anche se malsano: lo spirito di adattamento porta distorsioni della realtà e nella gran parte dei casi nemmeno ci si accorge di essere in gabbia. Quando ci si accorge di esserlo, si cerca la libertà e si inizia ad agire, a intervenire nella propria vita per cambiarla (il leit motiv dell’album è la paura del cambiamento). Si affronta quindi l’inevitabile paura del cambiamento e dopo varie inevitabili cadute ci si rialza, finalmente liberi.

Un album che immagino, tra rock e cantautorato, ti rappresenti. Come scegli il “vestito”, il sound, che devono avere le tue canzoni?
Normalmente è la musica che ascolto in un determinato momento ad influenzarmi maggiormente, anche se mi è capitato di ascoltare musica piuttosto pesante (in questo periodo ascolto molto stoner) e nello stesso momento comporre brani di bossa nova (un paio di brani di ultima produzione sono molto leggeri e pop). Quindi non c’è una regola, c’è molto istinto.

Come nascono le tue canzoni. Ad esempio per “C’è di mezzo il mare” e “Gabriele” sono nati prima i testi o le musiche?
Soltanto un testo e una canzone nascono svincolati. Un testo nasce in autonomia in seguito a un evento fastidioso particolare che mi colpisce: le parole vengono scritte di getto, cercando di rispettare una metrica coerente per strofe, ritornello, inciso… e a volte c’è anche un’idea di massima di motivetto. Anche “C’è di mezzo il mare” e “Gabriele” nascono prima nel testo. La musica nasce in altri momenti: solitamente da solo nascono giri improvvisati, arpeggi, riff e melodie che vengono fissati registrandoli per non perdere “il momento”. Non scrivo musica con il pentagramma, quindi tutto deve essere salvato in un file audio.
Ad esempio il riff di “Gabriele” era nato in una jam session con amici musicisti, registrato e lasciato sedimentare… poi è stato ripreso per l’occasione e inserito nel brano. Nel mood ironico della canzone è perfetto.

Una canzone che viene fuori con delle sorprese è “il dio che è in me”. Ricordi lo stato emotivo che vivevi quando hai scritto questa canzone? C’è stato un episodio che ti ha ispirato per questa canzone?
“Il Dio che è in me” nasce dopo una riflessione relativa alla facilità con cui le persone si prendono in giro, pensando che c’è un Dio che sa tutto di noi e ci guarda dall’alto. Penso che nell’immaginario collettivo questa sia l’idea di Dio: maschio, barbuto, età della pensione, su una nuvola con fulmini pronti al lancio… scherzi a parte, la mia idea è quella del cambio di prospettiva: se Dio non fosse esterno a noi, ma dentro di noi? Noi al nostro interno siamo Dio, siamo creatori della nostra vita. Siamo responsabili grazie al libero arbitrio di ogni nostra azione e quindi di ogni direzione che la nostra vita prenderà. Sotto quest’ottica ogni aspetto della vita sarà creato da noi e non dalla fortuna…

Un album che parla di fragilità e cadute. Quanto ti rappresenta?
Al 100%. Cadute e lividi, ossa rotte e riaggiustate compresi.

Tre motivi per cui consiglieresti di ascoltare i tuoi “Caduti liberi”?
Ascoltando Caduti Liberi si ascoltano messaggi semplici, universali, messi in musica.

L’album va ascoltato perché:
– Tutti abbiamo ossa rotte che possono riaggiustarsi.
– Tutti abbiamo paura di cambiare.
– Tutti abbiamo dentro di noi le risorse per farlo.

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