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BRANDO: con “Selfmade” a celebrare la sua storia

Storia giovane ancora ma densa di anni dentro l’underground italiano del rap, dentro le tante collaborazioni ma soprattutto dentro un percorso di emancipazione che lo porta oggi dentro le trame di un disco totalmente autoprodotto come “Selfamade”. Parliamo di Francesco Borghi in arte BRANDO, rapper emiliano che da i natali alla sua carriera solista con questo lavoro dentro cui rintracciamo le belle classicità degli anni ’90, il suono e le soluzioni metropolitane e quel concetto di crew che un poco manca ma che non produce vuoti incolmabili. La leggerezza del flow maturo e denso di consapevolezza.

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Un primo album oggi, in questo tempo assurdo che stiamo vivendo. Che responsabilità affidi a questo lavoro?

Ci tengo a precisare che è il mio primo album da solista, poichè nel 2012 pubblicai un album inedito ma con due miei amici. Ad ogni modo oggi più che mai in questi momenti difficili e con poche speranze per il futuro,gli artisti hanno bisogno di creare e dire la propria, più che altro facendo musica evadono della realtà che ci circonda permettendoci di essere ciò che siamo ed esprimerci con la musica, è il nostro unico modo. Non sono il ragazzo polemico che si sfoga sui social o scende in piazza, mi piace scrivere in rima e dare dei messaggi chiari a chi mi ascolta, i miei testi non sono mai scontati. Sfido davvero molti ragazzi della mia età e non solo a fare ciò che ho fatto io, in questo periodo e nelle mie modalità. Sono fiero del mio prodotto e del risultato. Ad ogni modo è una base molto solida su cui continuare la mia carriera, posso dire io ho fatto un album da solista di 15 tracce, ecco il mio biglietto da visita

Perché un disco tutto tuo? E mi riferisco alla produzione, al titolo “Selfmade”?

Un disco tutto mio perchè non ho nessuno intorno che mi aiuti o mi stimoli come molti altri invece hanno, le produzioni non sono mie ma di vari beatmaker di zona, Selfmade vuol dire appunto autodidatta, chi si crea da solo senza aiuti esterni ma solo con il proprio lavoro e impegno.

E contrariamente a quanto dice questa parola, che rapporto hai con la contaminazione?

Non sono contro la contaminazione ovvero mi piace sperimentare nuovi suoni e anche chiamare altri cantanti per fare collaborazioni, sempre se serve a migliorare il prodotto di partenza.

E nel fare da solo sottolinei un distanza dalle Major discografiche. Dunque cosa pensi dell’industria di oggi?

Le Major di oggi non sono le Major degli anni ’90 ovvero, prima quando un artista si faceva notare come ho fatto io facendo un album da solo, lo prendevano sotto la propria ala diciamo e lo facevano crescere sotto tutti gli aspetti , diventando un artista mainstream. Oggi invece devi già essere qualcuno, famoso e con grossi numeri prima di essere preso da una Major, io vedo le etichette discografiche oggi come delle macchine “Mangia Talento” , a loro importa solo quanto vendi e i numeri che fai, non la passione e il talento che hai per la musica e questo è davvero frustrante. E questa cosa si nota molto, la qualità degli artisti e della musica è davvero scesa a dei livelli penosi. Il mio titolo infatti è provocatorio.

E di featuring? Cosa ci dici in merito?

Di featuring ne trovate un paio nell’album, direi che sono sempre la parte più interessante dell’album le collaborazioni. Ho chiamato solo artisti a cui sono personalmente legato e che mi piacciono musicalmente, cercando di alzare il livello della traccia grazie al loro contributo. Mi piace fare featuring perchè mette in risalto i diversi stili dei due artisti.

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