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Sativa Rose: un “Rumore bianco” nella società che addormenta

Progetto questo dei Sativa Rose che nel tempo ha cambiato faccia e dimensione e in qualche forma anche il suono. Progetto che oggi, con questo nuovo disco dal titolo “Rumore Bianco” diviene la firma e la faccia soltanto di Alessio Mazzeo, uscito a fine gennaio per Grifo Dischi. Forse l’estensione più liquida e industriale di quel mood indie-pop che a quanto pare sta segnando un’epoca e sta dando una misura alle scritture… al trend come direbbero molti. E in questo “Rumore Bianco” si fa anche sociale dentro brani come “Sciarada”, è anche il rapporto con l’altro dentro “Non dire una parola”, è il convivere con la grande città o anche con se stessi ed il punto di connessione par essere il medesimo. Un disco istintivo per quanto sfoggia sfacciatamente una produzione lo-fi di quel suono digitale che inevitabilmente ci riporta agli anni ’80 delle periferie (possibilmente balneari e rigorosamente in inverno).

Sativa Rose oggi è un progetto solista. Perché? Esiste una ragione precisa oppure è soltanto evoluzione?
Credo che nella vita le strade si dividano per una di queste tre ragioni: necessità, opportunismo o incomprensione. Se sia un’evoluzione non lo so, so soltanto che questo caso non ha fatto eccezione. Non ho rimpianti, il lavoro di gruppo è sicuramente stato importante per la mia crescita artistica e personale; così come i ricordi che mi legano a quell’esperienza, che conserverò per sempre.

E questo suono, a questo punto “il tuo suono”, come si è evoluto nella direzione solista? Ha avuto limitazioni o amplificazioni?
L’unica limitazione che mi sono imposto, in questo primo ciclo, è quella di non utilizzare le chitarre. Ripeto: non so se il suono si sia evoluto o meno, so soltanto che parla meglio di me. Che racchiude al suo interno frammenti di vita che mi hanno ispirato e che ho raccolto, che adesso rimarranno impressi assieme. Non a caso anche per raccogliere le foto dei nostri ricordi parliamo di album.

L’Inghilterra prima dell’America. Sembra tutto uscito da Oxford e d’intorni… a quali radici e ragioni dobbiamo riferirci?
Diresti? In questo caso, le ragioni potrebbero essere racchiuse nel mio percorso e nel mio immaginario… Per il resto, penso che ognuno abbia le proprie radici, intese sia in senso personale sia in senso artistico. L’importante è che le radici siano un punto di partenza, una base su cui far fiorire qualcosa.

Giochi tantissimo con le ritmiche ma anche e soprattutto con i suoni delle parole… o sbaglio? Ho avuto la sensazione che queste due cose camminassero accanto sempre…
…Affondato, è verissimo! Credo derivi dal fatto che mentalmente approccio le melodie, e anche il loro suono, come se dovessero essere suonate da uno strumento. Un sintetizzatore, ad esempio; con le legature, gli accenti, il glide…

Che poi non è un caso se ritorna questo senso di “confusione” dentro le trame delle ritmiche… quasi che ci siano dei passaggi eccessivamente ostinati… non trovi?
Lasciare spazio all’armonia nella confusione è anche un po’ il concetto dietro al nome del disco, no? Comunque non saprei, credo che questo tipo di impressioni rientrino in un ambito soggettivo, in cui ogni opinione ha valore in quanto personale. Tuttavia, qualche ostinato si può trovare nelle mie composizioni. È una soluzione efficace per creare tensione o per rafforzare un concetto, musicale o testuale. Più che ostinatezza, forse ossessività?

La sensazione adolescenziale, liquida… è un disco che non ha tempo questo…
È un disco che ha in qualche modo anche beneficiato di questo. Filtra immagini contemporanee attraverso la prospettiva di un osservatore. Anche se analizzare il contesto molte volte è più semplice che analizzare sé stessi. Stiamo vivendo un periodo in cui prendersi del tempo per riflettere è quasi un dovere: credo che questo possa aiutare a sviluppare un po’ di consapevolezza e di senso critico in più. Per questo da un lato sono contento che Rumore Bianco sia uscito adesso.

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