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Frank Bramato: non essere per esistere

Dovremmo tutti cominciare a non essere per esistere. Mondo eternamente vittima dell’apparire, capace di mercificare ogni sfumatura dell’esistenza, dell’essere… e persino del non essere. Ormai l’omologazione imperante conduce giochi, regole e ammonizioni e tutti, purtroppo tutti, siamo oggetto di macchinazione e, con più o meno consapevolezza, celebriamo una resa al sistema. Tutti. O quasi… perché poi sempre sbuca da qualche dove un’anima pulita che cerca nella sua parola l’unica ragione di esistenza, cercando di partire da un linguaggio che sia di tutti e da qui oltrepassare le regole, il dovuto, il politicamente corretto per le abitudini confortanti della pubblica piazza. Frank Bramato arriva al suo esordio firmato dalla Seahorse Recording dal titolo emblematico “Non essere” dentro cui c’è spazio per il pop e per il non-pop, per forme conosciute ma anche per le rivoluzioni in tal senso. Su tutte campeggia una lezione di benessere emotivo e sociale come “Pazienza Essenza”… su tutte svettano le sperimentazioni vocali di “A Demetrio” che omaggiano in qualche modo un grande come Stratos. Impossibile spiegare un simile disco dentro quel poco che abbiamo a disposizione…

Esordio assai maturo che per niente lascia pensare ad un primo esperimento. E non penso proprio che sia la prima scrittura di Frank Bramato o sbaglio?
È vero, non si tratta del mio primo lavoro, è una sorta di “primo da solista”. È nato tutto diversi fa con una band, i Blekaut (scritto così). Mi sono trovato quasi per caso a confrontarmi con un genere che non era il mio. Infatti già dall’eta di sedici anni ero in giro a fare concerti, cercando di emulare le band del panorama hard rock degli anni ’70, ma l’inconsapevolezza unità alla giovane età mi ha catapultato in quella nuova situazione fatta di chitarre in levare e rocksteady . Direi un’esperienza fondamentale visto come sono andate le cose: una serie di concerti molto importanti mi hanno portato al pensiero di voler continuare a sperimentare nuove forme aldilà del genere . Poi una breve pausa per immergermi nello studio della sceneggiatura (chiodo fisso), un album di swing che non ha mai visto la luce, una serie di collaborazioni e ultimo in ordine cronologico “Non Essere”.

Frank Zappa e Demtrio Stratos… e tanto altro citato tra le righe. Ma in particolare perché proprio loro?
Esistono musicisti capaci di fulminarti, letteralmente. Per quel che mi riguarda Frank Zappa e Demetrio Stratos mi hanno sconvolto, regalandomi la consapevolezza che esistono infiniti modi di esprimersi. La mia concezione di arte o di fare arte ha iniziato a mutare in infinite forme, in particolare Stratos ha fatto sì che il mio approccio alla voce o alla vocalità si staccasse da ogni tecnica assimilata fino ad allora per cercare di spingermi sempre oltre. È stato fantastico imitarlo all’inizio per poi sviluppare una tecnica personale cucita su misura per la mia voce. Provate a pensare al paradiso così come vuole l’immaginario comune, provate a vederLi insieme in una casa di nuvole e chiudete gli occhi cercando di captare i suoni che potrebbero venir fuori da lì.

La voce per te che peso e che ragione ha dentro la forma canzone? E qui sfidiamo i cliché del pop…
Come ho appena detto, credo che la voce là dove è prevista, sia l’elemento fondamentale di una composizione. Voce e testo! La scrittura infatti deve essere sempre e solo condizionata dalla vocalità, bisogna studiare se stessi e scrivere come se si stesse componendo un opera per archi, pianoforte o qualsiasi altro strumento. Questo per dire che la stessa voce deve essere considerata uno strumento, che a differenza dei classici strumenti potrebbe avere un potenziale infinito. Dobbiamo immaginare il nostro corpo come un’orchestra pronta a scatenarsi nella giusta direzione.

Più che Frank Zappa direi che il rock inteso come pensiero e mood è morto invano… forse… visto il risultato che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno… o sbaglio?
Il progresso ha i suoi lati positivi ma anche quelli disastrosi. Personalmente credo che il gusto di ognuno sia sacrosanto, ma se il gusto diventa comune, univoco e omologato la fine è dietro l’angolo. Il concetto di talento è stato completamente falsato da trasmissioni di puro intrattenimento che non tengono minimamente conto dell’arte. Spettacoli costruiti intorno al nulla, uguali tra di loro , repliche di repliche globali . Stesse luci, stessi format, stessi elementi ripetuti allo sfinimento dove, non solo il rock ma tutta la musica nella stragrande maggioranza dei casi passa in secondo piano. L’arte è un processo di crescita che richiede passaggi ben precisi, il resto è intrattenimento e finzione. La colpa è di chi crea, di chi spaccia e di chi ascolta, in pratica di tutti. Credo però che ogni moda sia passeggera e in questo momento storico stiamo vivendo il massimo della fase decadente e demente, quindi destinata a rinascere. Dobbiamo impegnarci, ognuno nel suo campo per cercare di dare un’alternativa per rendere tutto più…colorato.

E qui so di chiedere alla persona giusta allora. Maneskin e il loro rock… una nuova testimonianza di “non essenza”?
Credo che il fenomeno Maneskin sia frutto di una serie di coincidenze, che da un lato vedono quattro (credo) giovanissimi ragazzi con la ribellione nel sangue e la voglia di esprimersi attraverso i loro brani, e dall’altro la forbice mediatica che senza capire granché, parla di tutto tranne che di musica. Hanno una enorme opportunità, quella di continuare a fare musica senza dar conto a niente e nessuno, neanche alla macchina che lì ha lanciati. Personalmente, rispetto a quel poco che ho ascoltato mi sembra abbiano tutte le carte in regola per crescere ARTISTICAMENTE, dovranno dimostrarlo al buio, fuori dai riflettori, con quella arroganza e sfacciataggine che da sempre ha contraddistinto il Rock’n’roll. Dovrebbero “Non Essere” per iniziare ad (R)esistere. Questo è il mio personalissimo parere.

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